CyanogenMod e il grande salto
CyanogenMod non è sono solo una custom rom, ma è la più grande community di sviluppatori indipendenti esistente nel panorama Android. Nome tanto popolare da far credere ai suoi creatori di poter fare “il grande salto”.
Sono passati circa due anni da quando i vertici della community decisero di accogliere le richieste dei fans (e di provare a riempirsi le tasche di soldi), che invocavano a gran voce uno smartphone progettato e venduto da CyanogenMod. Una scelta che ha portato alla creazione di una società, la Cyanogen Inc. e a diverse partnership con dubbi risultati.
La più famosa di queste collaborazioni è stata sicuramente quella con OnePlus e il suo OnePlus One, uno smartphone che non aveva nulla da invidiare ai concorrenti top di gamma, dotato di una versione stabile e dedicata della CyanogenMod. Inutile fare discussioni sul perché questa collaborazione sia finita male. Gli unici a conoscere i dettagli sono le parti interessate, però è chiaro che a rimetterci è stata unicamente Cyanogen.
Non poteva essere un’altra la strada giusta?
Tante volte mi sono chiesto se non sarebbe stato più produttivo (e magari anche remunerativo) proseguire lo sviluppo indipendentemente dal l’hardware. Allungare il più possibile la lista dei dispositivi supportati ufficialmente e diventare per tutti una vera alternativa alle rom ufficiali.
Non sarebbe stato semplice, questo è indubbio, ma è vero che l’hardware degli attuali dispositivi top è nettamente più standardizzato rispetto a qualche anno fa (escludendo Samsung e Huawei che si producono i processori in casa). Sicuramente un fattore che semplifica notevolmente la compilazione della custom rom, anche per quei dispositivi per i quali il produttore non rilascia il codice sorgente (ovviamente dove il bootloader si possa sbloccare).
I guadagni sarebbero stati nettamente inferiori e non certi come quando si firma una partnership con un grosso nome, però si sarebbe potuto puntare su app specifiche a pagamento o su altre forme di finanziamento.
Ora l’estremo tentativo sembra essere quello di trasformare il sistema operativo in un insieme di pacchetti da vendere singolarmente ai diversi produttori. Una decisione necessaria per rimpinguare le casse della società che non naviga certo in buone acque.
Inoltre continua a perdere sostenitori, si fa sempre più fatica a supportare i terminali più recenti e i produttori mettono sul mercato firmware con funzioni avanzate e con meno bloatware rispetto al passato. Tutti fattori che fanno calare la voglia di modding.
Ora si è scelto di “spezzare” il sistema operativo in tanti moduli e di provare a vendere quelli più interessanti ai vari produttori perché vengano integrati nei propri dispositivi. Difficile dire quale possa essere l’esito di questa operazione, anche perché per i produttori potrebbero complicarsi le operazioni necessarie per approntare un aggiornamento di sistema.
Lo ammetto, sono sempre stato un fan, posseggo tre tablet e due montano una CyanogenMod (non ufficiali) e ho sempre goduto dei benefici della custom rom più desiderata, ma gli ultimi avvenimenti mi hanno lasciato, a dir poco, perplesso e dubbioso.
Se a volte bisogna rinnovarsi per non morire, spesso saper fare un passo indietro può portare benefici ben più grandi.