Quando la tecnologia spegne la passione
Negli ultimi anni la tecnologia è diventata parte inscindibile delle nostre vite, una compagna che spesso va ad intrecciarsi con altre passioni, “contaminandole“, non sempre in positivo.
Che la tecnologia sia una delle mie più grandi passioni è un fatto risaputo ai più; sono stato tra i primi ad avere in casa un Commodore 64, una consolle, un cellulare, un televisore piatto… Tanto da spingermi, proprio grazie a questa incredibile passione, nel mondo del blogging per cercare di condividerla con quanta più gente possibile. La tecnologia però è “subdola”, negli anni si è insinuata nelle nostre vite, anche in campi che nessuno avrebbe mai potuto immaginare, contaminando spesso altre passioni, che hanno subito una forte e profonda metamorfosi.
Scrivo questo perché nei giorni scorsi mi sono dovuto fermare un attimo a riflettere e, per la prima volta, ho detto “no” alla tecnologia! Un “no” figlio dello scontro con un’altra passione: quella per le due ruote. Non avrei mai creduto che questo giorno sarebbe arrivato, ma la scimmia tecnologica ha perso.
Il mondo dei motori è ormai invaso di tecnologia, basta salire su una qualsiasi vettura o motociclo per rendersene conto: iniezione elettronica, cruise control, ABS, ESP, CBS, airbag, sensori dei più disparati, specchietti che si adeguano alla luce, monitor touch screen, sistemi key less… Alcuni di questi sono sicuramente importantissimi, perché aumentano la sicurezza del veicolo che si guida, altri sono solo un semplice specchietto per le allodole.
Il mondo delle moto segue a distanza quello delle autovetture, ma negli ultimi anni i passi in avanti sono stati enormi e quando si decide di comprare una moto nuova, ci si trova a visionare depliant di 2/3 pagine, pieni di optional dei più disparati; qui la mia passione per le due ruote ha rischiato di essere soffocata da quella per la tecnologia.
Sono già in possesso di un motoveicolo relativamente recente (3 anni e qualche mese), dotato di quel minimo di tecnologia che reputo necessaria (ABS e controllo di trazione), oltre qualche optional per il confort di marcia, utile nei lunghi viaggi (manopole riscaldate e sospensioni regolabili elettronicamente). Valutando l’acquisto di un mezzo più recente, mi sono ritrovato in una situazione che non mi sarei mai aspettato. Mentre il venditore seduto alla sua scrivania mi elencava le possibilità di configurazione, la maledetta scimmia tecnologica sulla mia spalla saltava ed urlava al suono delle parole “sospensioni attive” e “centralina con 5 diverse modalità” e ancora “key less” o “cruise control“, una scimmia malefica che mi gridava “Firma! Frma! Firma! Firma!“. Solitamente, in questi casi, la scimmia ha la meglio, ma non questa volta.
La mia immaginazione, che cercava di dare un’importanza sovrastimata a quegli optional per spingermi all’acquisto e per giustificare l’enorme esborso monetario, si è scontrata con l’adrenalina che mi viene sparata in circolo nel momento in cui nei due cilindri del motore della mia compagna di viaggi inizia la combustione. Perché quando salgo sulla moto siamo solo noi, io e lei, con tendenza a diventare una cosa sola.
La tecnologia dei nuovi modelli è chiaramente allettante, ma per uno come me che non è mai in competizione con nessuno e il cui unico scopo quando parte è, appunto, partire, tutta questa novità ha rischiato di soffocare l’altra mia grande passione. Uso verbo “soffocare” non a caso, perché è stata proprio questa la sensazione che ho provato, una mancanza di ossigeno dovuta alla presenza di tutte quelle cosa da regolare, da tenere sotto controllo e con cui armeggiare, quando l’unica cosa che realmente conta per me quando giro il contatto è partire.
Sia chiaro, non dico che la tecnologia in moto non ci dovrebbe essere; l’ABS mi ha salvato la vita più di una volta e il controllo di trazione mi ha permesso di divertirmi in “totale” sicurezza. Dico solo che il mezzo non dovrebbe diventare più importante della meta. E’ vero anche che sono uno degli ultimi figli di un’epoca in cui, se rimanevi a piedi per strada, bastava avere una candela, un laccio delle scarpe e un po’ di fil di ferro, per essere sicuro di tornare a casa; oggi tutto questo non è più possibile: se la moto si ferma (anche solo per la batteria scarica) non rimane che chiamare il carro attrezzi. Come anticipato all’inizio di questo editoriale, ho una moto relativamente recente, ma ancora concepita in maniera più “tradizionale”. Almeno ho ancora il buon vecchio cavetto per l’acceleratore e non un filo elettrico collegato ad un “reostato” e, nonostante tutto, il cruscotto si accende come un albero di Natale, tra spie e informazioni del computer di bordo; tutte cose utili solo per sapere che una di quelle cose superflue ha smesso funzionare.
Pensando ai sistemi di sicurezza di ultima generazione viene subito chiaro il fatto che sono concepiti per salvare la vita e che, grazie ad essi, tante persone possono raccontare le proprie avventure agli amici, questo è un dato di fatto. Ma soffermandosi per attimo a pensare ad una situazione limite, a me un po’ di pelle d’oca viene: “Entri in curva a 80/90km/h (dove permesso), aggrappato ad un acceleratore che non comanda direttamente il motore ma che informa la centralina di quanto vuoi accelerare ed è lei ad occuparsi di accelerare. Durante la curva un giroscopio registra migliaia di volta l’inclinazione del veicolo rispetto al piano stradale e regola di conseguenza l’ABS per evitare che possa essere troppo invasivo. Contemporaneameante, toccando i freni, la frenata viene ripartita tra i 3 dischi a disposizione per evitare che la moto possa raddrizzarsi troppo velocemente o scivolare via. Se poi si volesse dar gas, magari per evitare un ostacolo, bisogna scontrarsi con il controllo di trazione e di nuovo con il giroscopio che potrebbero non essere d’accordo“. In tutto questo la volontà del “pilota” funziona unicamente come “indicazione”, come a dire alla moto: “io vorrei fare così, vedi tu come farlo al meglio“.
Questi sono alcuni dei motivi che mi hanno spinto a dire “no“, un “no” diretto alla tecnologia, un “no” che ha come scopo anche quello di far sopravvivere due passioni senza che una abbia il sopravvento sull’altra, un “no” che mantiene in vita la passione per la moto, quella vera, quella che non perdona, quella che quando il motore si accende e il casco si chiude, tutto il resto non conta.